Sono 20 anni, non uno e nemmeno cinque.
Venti anni che alcuni momenti mi chiedo quando e come siano passati ma ci sono e ci sono stati.
Me lo ricordo bene quando per un attimo provo ad immaginare come sarebbe se fossi ancora qui, papà.
Avremmo ancora la Tabaccheria insieme, io e te?
Staresti ancora con mamma?
Saresti stato felice delle mie scelte?
Ti chiamerei tutte le sere come tu facevi con nonna?
Avrei mai potuto guidare il motorino che tanto ti metteva paura?
L'unica cosa che sono certa il destino non avrebbe cambiato, è la vita di Giada con i suoi splendidi figli, il mio cuore.
Nel 2009, poco prima di sposarsi, dopo 14 anni che non c'eri più, pianse un giorno al pensiero che tu non l'avresti accompagnata all'altare ma la meraviglia di quello che c'è stato con e dopo il suo matrimonio, non poteva essere che così. Perché è quello che voleva e lo sapeva già mentre tu e mamma la crescevate.
Invece io?
No, non sarei stata così: rude, restia alle emozioni, ansiosa, diffidente e paurosa del futuro.
Non vedrei tanti fantasmi.
Non mi chiederei dove ti ho lasciato, nella memoria.
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| Papà e Mamma prima che nascessi |
Giada ed io dormivamo sole a casa ormai da 20 giorni.
Spaventate siamo andate ad aprire: era mamma che tornava dalla clinica dove ti aveva dormito accanto per l'ultima notte. Ha bussato per non svegliarci. Che cosa strana.
"Papà non c'è più" ci ha detto turbata. Di un turbamento che guardava al futuro, all'incognita di essere rimaste sole.
Ero preparata a quella notizia, eravamo preparate tutte e tre ma solo psicologicamente.
Emotivamente non lo siamo mai state e non lo siamo ancora.
Siamo uscite per fare quello che si fa: guardarti un'ultima volta con il viso scavato e le guance rosa.
E poi...burocrazia trasportata dal vento e avvisi di "chiusura per lutto".
Poco dopo mi sono staccata perché ho voluto dimenticare. Ho passeggiato fino ad arrivare a via di Val Padana, ho cercato i miei amici e ho parlato con loro senza dir nulla di ciò che era successo, o forse sì ma non ne ho memoria.
Ho fatto la spesa e ho respirato l'aria calda del cambio di stagione.
Ho fatto colazione al bar con cornetto e cappuccino e sorriso a chiunque mi salutasse con l'ironia con la quale si era abituati a fare.
E così ho fatto per gli anni a venire.
Il mio motto era dentro la canzone "Tamburi lontani": ogni giorno siamo dietro ad una cassa, a dare il resto e poi sorridere.
Tu non c'eri e per me non dovevi esserci mai stato. Era molto più facile così.
Dimenticare l'amore che ti legava a noi, dimenticare le tue difficoltà di vivere, dimenticare la mano che ti tenevo e che non volevi lasciarmi pochi giorni prima di morire, nel letto della clinica.
Me l'ero cavata sempre da sola, pensavo e da sola me la sarei continuata a cavare.
Tutta la mia vita è stata così. Anni ed anni a vivere sapendo che tu c'eri ma fingendo di essere cresciuta senza di te.
E oggi mi manchi.
Mi manchi perché è solo con tanta fatica e solo adesso che riesco a capire la difficoltà nel crescere zoppi, senza l'appoggio di qualcuno che ti sostenga e che anche se credi di non essertene accorto, c'era.
Mi manchi per quanto amore avresti dato ai tuoi nipoti.
Mi manchi per i venti anni che ho passato senza di te e per quelli che ero troppo giovane per passare con te.
Mi manchi per la fatica che ho fatto e che sto facendo, a darti lo spazio che meriti, nella mia vita.
Mi manca il pensiero dei sorrisi che non ti ho dato e l'idea che un giorno, forse, avrei potuto saperti felice come mai ho creduto che fossi.
Lo sei mai stato? Avrei potuto fare qualcosa per permetterti di esserlo?
Posso oggi, smettere di pensare a te solo insieme a tanti punti interrogativi?
Avrei dovuto forse, parlarti per tutti questi anni in cui ho avuto paura di farlo, di realizzare che sei morto avendo il dubbio che fosse per colpa mia.
Non lo è e tu mi volevi bene, come io a te.
Grazie per quello che sono diventata, papà.

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