venerdì 5 luglio 2013

Dove si va, a far l'amore dove si va?

Ho appena acquistato on line, ad un giorno dall'evento, il biglietto dei Muse, anzi, 4 biglietti per i Muse, per il concerto dello stadio Olimpico di Roma.

Speravo tanto di riuscire ad andarci. E' uno di quei concerti che è un delitto perdersi. E visto che mi fanno pagare dei posti brutti, dove non si vede altro che la gente che canta, solo 10 euro (e non 60), ce li butto.
Ma almeno ci vado, ci andrò.

Sono contenta, come chi sa che vedrà un concerto bello, ma non emozionata.

L'idea della musica live mi ha sempre emozionato.
Eppure nel corso degli anni, salvo rari concerti in cui bramavo la prima fila, ho perso il batticuore.

E' finito con l'età? No. Non credo. Chi ama i concerti come me sa che non è così. Può finire perché qualcosa ti delude, perché qualcuno ti fa amare momentaneamente di meno, ma è come quando la tua squadra del cuore continua a perdere. Ti verrebbe voglia di non tifarla più ma poi, sotto, sotto la ami sempre. Non ti passa.

In un attimo il lampo. Momento revival che ha illuminato i miei pensieri.

1987: primo concerto dei Duran Duran in Italia. Primo mio concerto in assoluto. Ho 14 anni. Altri tempi. A 14 anni allora eri piccina per andare da sola ad un concerto per adolescenti invasate.
Ora forse, l'età è scesa a 11 anni.
Concerto del mio gruppo preferito, quello per il quale, nei mesi (anni) precedenti, avevo passato ore ed ore sotto alberghi, davanti a Teatri, Radio, Televisioni, solo per vedere il viso di Simon Le Bon attraverso il vetro oscurato di una limousine o che sbucava dalla tenda della sua stanza d'albergo.

La data live "1 giugno 1987- Stadio Flaminio" esce sui giornali e alla tv circa quattro mesi prima.
Sono quattro mesi di preparazione. Dischi con testi da ripassare, scalette da cercare, opere di convincimento genitoriale, amiche da coinvolgere, palpitazioni senza fine.

Ma quando escono i biglietti? Boh. Non si sa. Non - si - sa.

Perché non c'è un computer su cui leggerlo.

Dal giorno dell'annuncio televisivo, quindi, non c'è altra soluzione che cominciare il lungo e costante pellegrinaggio pomeridiano da Ricordi, Messaggerie Musicali, Orbis e ogni tipo di rivenditore causale scoperto per caso in qualche traversa nascosta del mio quartiere.
(C'era un negozio di abbigliamento a Viale Somalia, per esempio, che per motivi misteriosi vendeva i biglietti. Si era diffusa la voce sottobanco tra coloro che andavano allo Stadio e cercavano in "zona Cesarini" i biglietti per coppe e derby).
Quasi tutti i giorni, uscite da scuola, con la mia amica duraniana Federica, quindi, passiamo a Viale Somalia, chiamiamo Orbis, facciamo un giro da Ricordi a Via del Corso.
Il giorno in cui ci dicono "Sì, sono usciti" è uno shock. Sopraggiunge l'ansia di non fare in tempo, come se potessero essere venduti trentamila biglietti in un pomeriggio. (Ed effettivamente era possibile).

Il ricordo peggiore, in senso estremamente tenero, che ho, è di quando, in fila al box office (così li chiamavamo) aspettavo il mio turno, sperando che alla richiesta "2 biglietti" non dicesse "finiti".
Mi tremavano le mani, mi si piegavano le gambe, sudavo freddo. Tenevo in mano i soldi per pagare il biglietto come se non dovessi lasciarli mai più, come un bimbo che ha visto volare il suo palloncino una volta e la successiva lo stringe con tutta la sua forza.
Avevo chiesto  il posto rigorosamente"Prato" o "Parterre" (richiesta che non ho mai detto diversa in anni di carriera di groupie) e...quello mi diedero.
Il ritorno in autobus non lo volevo fare. Meglio a piedi. Più sicuro.
Il terrore psicologico che senza quel rettangolo di carta plastificata, non si potessero vedere i Duran Duran, attanagliava la mia mente più degli esami di terza media.

Poteva succedere di tutto: che cadesse dal portafoglio, che qualcuno ti scippasse, che lo lasciassi dentro un diario sul tavolo di un bar, che tua mamma lo buttasse scambiandolo per cartaccia.

Quel biglietto è stato tenuto come una reliquia fino a quando non è stato strappato dall'addetto dello Stadio Flaminio.
Fino a quel momento il sacro terrore di non trovarlo più, vinceva su tutto.

Poi, il 1 giugno, verso le 17.00 dopo ore di attesa ai cancelli, lo stadio ha aperto: col biglietto in una mano e Federica nell'altra, sono corsa tra corridoi, scale e cancelli, per occupare un qualsiasi posto su quel meraviglioso prato.
Per 4 ore ho aspettato le luci spente e l'attacco degli strumenti e quando è arrivato è lì che è esplosa la gioia dei mesi di attesa, è lì che si è riversata l'ansia di un biglietto che si poteva non trovare, perdere, buttare inavvertitamente. E' lì che mi è sembrato di aver conquistato il mio ruolo di comparsa nella storia della musica. Un numero tra i tanti che hanno riempito lo stadio.

Negli anni successivi è stato sempre così: luci spente, urlo liberatorio che voleva dire "ce l'ho fatta".

Oggi ho acquistato su internet il biglietto del concerto dei Muse che si terrà domani allo Stadio Olimpico di Roma. Mi è arrivata una mail di conferma che stamperò, porterò al botteghino che la sostituirà con un biglietto.
Camminerò probabilmente per un quarto di circonferenza dello Stadio e poi entrerò col mio ticket fresco di stampa che ha 500 metri di vita.
Se dovessi perdere la mail stampata dirò il mio cognome al botteghino.
Se ciò non dovesse bastare, con lo smartphone aprirò la casella di posta e mostrerò la mail al botteghino.
Avrò sempre e comunque il mio biglietto.

Pagato 10 euro un giorno prima dell'evento.

Sono contenta, ma non emozionata.

La conquista che non c'è più, del mio posto di comparsa nel mondo della musica è il mio batticuore mancante.








Nessun commento:

Posta un commento