mercoledì 14 novembre 2012

Il monaco e il suo abito parte seconda (sottotitolo "ricordo il vestito che avevi")


Mi piace osservare la gente.
Mi piace  capire la sua vita da ciò che legge, che indossa, da come si comporta  nelle circostanze in cui la incrocio.
Non riesco a non vedere negli sconosciuti che mi trovo davanti al mercato, sull'autobus, in treno o ovunque sia, degli universi da scoprire.
Capita che mi incanti ad osservare, a fissare in modo quasi maniacale, uomini e donne, anche solo per un particolare che, sugli altri, cattura la mia attenzione.
Particolari che creano storie, episodi di vita, costruiscono film e conferiscono a chi sto osservando, un ruolo da protagonista inconsapevole.
Mi chiedo che vita faccia, quali sofferenze porti addosso, chi lo stia aspettando e dove.

Pochi giorni fa, per esempio, è salita sull'autobus colmo, che mi stava portando in stazione, la mattina presto, in una fermata a metà tra i due capolinea, una donna molto bella.

Un viso particolare che mi ricordava la Scarlet Johansson di Iron Man 2 ma senza l'aria aggressiva del personaggio. Ogni cosa che le apparteneva  sembrava conferirle un'aria ordinata, semplice ma allo stesso tempo affascinante e sexy.
Aveva i capelli rossi, sicuramente di un rosso non naturale ma comunque delicato, lunghi fino alle spalle e legati in testa a ciocche con delle mini mollette, pelle rosea e liscia effetto porcellana,  labbra carnose appena colorate con po' di lucido, trucco così leggero da far fatica a pensare che ci fosse.
Indossava un cappotto doppio petto blu con manica bombata, sotto si intravedevano un paio di jeans e degli stivaletti a mezza gamba.
Non sono riuscita a darle un'età perché appena mi ero convinta che potesse essere una fotomodella, quindi una giovane donna, ho notato che i suoi bagagli erano composti da uno zaino piuttosto importante, un cavalletto per macchina fotografica ed un pannello riflettente di quelli ripiegabili, chiuso nel suo astuccio.

Una fotografa.
Probabilmente era una fotografa.
Non ho potuto fare a meno di domandarmi perché una donna così bella non avesse scelto di fare un lavoro più immediatamente appagante, per esaltare l'ego di madre natura, insomma di stare dall'altra parte dell'obiettivo. Mi sono anche risposta che era una considerazione stupida e maschilista.

Ma quella donna bella è salita su un autobus stracolmo, dove tutti a fatica trovavamo un appiglio per non barcollare ad ogni frenata e si è messa davanti ad un sedile il cui occupante si è subito alzato, non per cortesia ma perché doveva scendere. Quella donna bella è stata seduta fino all'arrivo alla stazione, accerchiata senza averlo chiesto, da corpi addormentati che proteggevano l'incolumità del posto. Così, per quanto maschilista e probabilmente anche condito d'invidia, ho pensato che sì, per le donne belle la vita è più facile, perché le cose si risolvono da sole, senza la fatica sovrumana dell'intervento di chi le deve cambiare a suon di mazzate ricevute.

Lei era lì, seduta con l'aria scocciata di chi ha già passato un inferno, che si aggiustava i ciuffi legati alle mollette e sistemava i bagagli in modo da non stare scomoda, che esprimeva disprezzo per quella condizione fastidiosa, a cui le mani lisce e il volto senza rughe, sembravano non essere abituati. Intorno a lei, invece, sguardi rassegnati: di chi si alza prima che sorga il sole ogni santa mattina, di chi conosce a memoria i suoi appiccicati compagni di viaggio in autobus, di chi non si aspetta che se si mette davanti ad un posto occupato, questo si libererà, da chi arriva tutte le mattine alla stazione in piedi, accalcato.

Era una fotografa, magari una giovane allieva costretta a subire mobbing per dimostrare il suo valore, stanca di una vita volta a dimostrare di valere qualcosa, forse anche arrabbiata con se stessa e con la sua ostinazione eppure per me e per la mia strana forma di invidia era solo una donna bella, dotata della grazia concessa a poche donne, quella che ti permette di essere sempre e comunque perfetta e di ottenere avverati i propri desideri con la facilità di chi se li merita a prescindere.

Ho attraversato la chilometrica Piazza dei Cinquecento tenendomi stretti i brutti ma estremamente sinceri commenti del mio io, non rinnegandoli troppo, solo dando loro il giusto contesto: infondo, se sono stanca, non è colpa di una donna bella.








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