venerdì 4 dicembre 2015

El Ga El Suv

Torta alle melanzane, tagliata
Avevo preparato un romanticissimo e molto introspettivo post su me, su quest'anno, sul solito paragone tra il fare le torte e la vita ma un evento accaduto ieri sera mi ha costretto a deviare percorso.
L'evento non si collega con nessun volo pindarico alla torta.
Anche perché sto talmente indietro che ricordarmi cosa ho fatto quando ho provato 'sto dolce, sarebbe un'impresa.
Tra l'altro me ne è rimasta indietro una che è stata una gran rottura di palle e della quale ho dovuto buttare dei pezzi perché a Corrado non piaceva.
Era una torta melanzane cioccolato, coriandolo e lamponi.
Il cazzo di coriandolo l'ho cercato ovunque ma simpaticamente essendo Natale dice trovi 'e noci, pe' r coriandolo devi aspetta' carnevale. Crasse risate di commessi che si danno pure la gomitata dopo la battuta. Quindi comincia a leva' 'na cosa.
Poi c'erano i lamponi. Freschi. Non li ho trovati a novembre, ovvio.
E se qualcuno li avesse venduti, lo avrebbe fatto ad un prezzo tale che me costava de meno nascondece l'anello cor brillante come nei film con Kate Hudson.
Ho comprato quelli surgelati, ho aspettato che si scongelassero, li ho asciugati e ho fatto quello che potevo fa': 'na cagata. Ma tant'è...
Melanzane sistemate male sul fondo
Poi le melanzane. Andavano caramellate e sistemate a mo di "fondo della torta". Non sono capace. So' venuti fuori tipo lecca lecca di melanzana. Rigide come lingue di gatto.  Sono certa che non dovessero essere così. Oltretutto il caramello bruciava come piombo fuso. Ho perso le impronte digitali per sistemare le maledette fettine prima che si irrigidissero come un colletto inamidato.
Comunque... sopra ci andava messa la mousse, poi una marquise, una purea di lamponi, poi la mousse poi la marquise. Alla fine, anche se sul libro non c'è scritto, a mio avviso la foto della torta fatta, la faceva sembrare rigirata. Ovvero finitasi di freddare dovevo capovolgere la torta in modo che il letto di melanzane facesse da tetto. Cambio di iniziale.
La torta non era male. Ma a Corrado non piacciono le melanzane e pur essendo diventate fette fossili cristallizzate, lui dice che ne sentiva il sapore. Quindi ciao torta. A non rivederci mai più.

Ora posso raccontare la piccola avventura di ieri sera.
Mousse con lamponi finti freschi
Il titolo, che pare il nome di un arabo ed ultimamente non vanno certo per la maggiore, in realtà è una canzone  che funge da simbolo di questo racconto.
Ieri sera sono andata a mangiare una pizza con alcuni dei miei compagnucci di pilates. Bellissima serata. Il posto era in una strada traversa di via Nomentana all'altezza di Piazza Sempione.
In quel dedalo di viuzze, c'è una quantità tale di locali e ristoranti che te conviene lascia' la macchina a casa e chiama' er taxi. Oppure te fermi in un posto a caso e giochi a ruzzle finché non esce qualcuno da un parcheggio.
Culo ha voluto che c'era un pertugio della lunghezza della macchina, vicino alla pizzeria, accanto ad un mercato, chiuso a quell'ora. Dovevo mettere la macchina calandola dall'alto per quanto c'entravo di misura ma, essendo notoriamente conosciuta come la maga der servosterzo, dopo un'entrata perfetta, 3 manovre e stavo 'n graziadeddio.
Davanti a me una Classe A.
Dietro di me un Suv.
Tra due fuochi praticamente.
Ecco. Il Suv. Il Suv, nero, con il finestrino posteriore destro fatto con lo scotch carta e un foglio di plastica, la fiancata sempre destra, tutta rigata che pareva un gessato anche piuttosto elegante, era parcheggiato a discreto cazzo di cane. Ovvero come si mettono di solito le Smart nei buchi troppo piccoli: per verticale. Peccato che non fosse una Smart: muso dentro il mercato, tra due banchi chiusi, un secchione e qualche cassetta di legno, che impediva il passaggio sul breve tratto di marciapiede, culo in mezzo alla strada, nel senso di "in mezzo".
Quel Suv, che non c'era più quando sono tornata a riprendere la macchina, per salutarmi ha lasciato sul vetro anteriore, sistemato in modo che sicuro non volasse, questo biglietto:






Ovviamente ho riso forte, dopo averlo letto.
Lasciando stare il "mi stavi guardando mentre parcheggiavo che hai dato per scontato fossi una donna? O sei il solito maschilista di merda che presume che un parcheggio che a te non piace, l'abbia fatto una donna?".

Questo lo tralascerei perché altrimenti poi mi incazzo due volte.
Mi soffermerei invece sulla pochezza di questo biglietto.
Ogni volta mi tocca tornare sull'annoso problema dei padroni di Roma, dell'inciviltà e del fatto che ormai incivili sono considerati coloro che non tollerano le inciviltà altrui.
Così è.
Ho parcheggiato dritto, in un posto dove potevo parcheggiare, stando attenta anche a non "appoggiarmi" sulle macchine davanti e dietro durante le manovre, controllando se il Suv, parcheggiato storto, col muso e il culo fuori posto, non facesse fatica ad uscire per colpa mia.
Pure se era parcheggiato storto, col muso e il culo fuori posto.
Il Suv nella persona di chi lo guidava, ha ritenuto necessario dirmi che sono una grandissima o gravissima testa di cazzo o di gatto e anche una puttana.

Forse perché il suo passeggero è dovuto entrare in macchina dopo che l'autista era uscito dal parcheggio?
Forse perché ha pensato che avessi rovinato l'elegantissimo gessato dello sportello?
No.
Lo so io perché e lo so perché Roma ormai è così: perché lei o lui si era fatta/o un piano, il piano di parcheggiare a cazzo di cane, andare in pizzeria, birreria, panineria o quello che fosse e una volta tornata/o alla macchina, senza fare alcuna fatica, prendere il fottuto Suv, fare mezza manovra, far salire gli eventuali utenti per storto senza dover prima uscire dal parcheggio e ripartire ridendo alla volta di casa.
E nessuno deve sconvolgere il piano di un maleducato che tu devi rispettare. Un tu a caso.

Questo biglietto mi fa incazzare a bestia e non per il "puttana", diventato ormai un insulto dai mille significati, neanche più una professione, che ditemi voi che c'entra "puttana" e nemmeno per  il precedente, di insulto.
Mi fa incazzare per la pretesa.
Mi fa venire il sangue al cervello per questa assurda presunzione romana di essere sempre dalla parte della ragione anche quando si ha palesemente torto.
Anche quando si è dei delinquenti.
Ne abbiamo esempi  giornalieri in questa città, sempre più presenti e sempre più numerosi e i suoi abitanti si comportano sempre più come i ladri che fanno i padroni: centurioni, camion bar, castagnari... tutti ad urlare perché urlare fa sembrare loro di avere ragione.
Perché c'hanno famiglia e so' secoli che fanno come je pare.
Perché loro so' lavoratori.
Perché lo Stato nun t'aiuta.
Come se le persone oneste non avessero famiglia o non lavorassero o fossero supportati meglio di altri dallo stato.
Rubare miliardi all'Italia tutta, per anni, non è rubare anche e soprattutto ai poveri?
Non è contribuire alla creazione di nuovi poveri?
Sì, lo è.
E comunque non c'è bisogno che stia qui a fare una digressione a difesa degli onesti.

Perché il problema è proprio questo.
Ormai è chi ha ragione, che deve difendersi.
Chi ha torto basta che strilli più forte degli altri.


Quando arriverà il punto di non ritorno? E soprattutto, arriverà?

Il problema è perdere la speranza. Che ciò accada, che la giustizia faccia il suo corso, che gli impuniti non rimangano tali.
Roma non dà più speranza. Da un bel po', ormai.

Manna li mejo "Grilli" pe' fa cri-cri... c'è del profetismo.

Per i posteri: questa è la torta intera. 
Oltretutto una foto brutta.
Abbiate pietà









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