mercoledì 2 settembre 2015

Su nell'Olimpo felice tu stai

Partenone
Tornai.
Scendere dalle nuvole non è facile, l'atterraggio risulta sempre un po' complicato, soprattutto se non si è troppo abituati a salire.

Sono pronta per ricominciare? No. 
Non ho idee e le poche sono annacquate di acqua salata.
Seduta in riva al mare, il sole davanti, il vento nelle orecchie, le gambe rannicchiate e racchiuse tra le braccia, il rumore bagnato di sassi che rotolano trascinati dalle onde. 
Ho in mente solo questo: il mare della Grecia che cattura come una sirena.
E Atene. Quanto ho amato Atene. La confusione araba in una città così italiana, la bellezza paralizzante del Partenone, gli odori e i colori che riempiono di sorrisi, i suoi incredibili abitanti.
Che peccato pensarla lasciata a se stessa.
Che peccato vedere palazzi crollare, strade deserte e un'idea di abbandono incombente, a pochi passi dal centro.
Plaka - Milos

Spero di poter fare qualcosa, per evitarne il declino. Fosse anche solo spendere parole a suo favore.
Ho promesso a me stessa che ci tornerò. E imparerò a fare  baklava, kataifi, dolci di miele e pasta fillo, strapieni di buonumore.

Per ora, in attesa di riprendere le attività, che sarà a breve, appena recupero in pieno le mie capacità psico fisiche, sono costretta a parlare della ricetta fatta il 3 di agosto, prima di partire per le vacanze, lasciata in sospeso come tutta la mia vita romana.

Avevo voglia da un po', come già ho detto, di fare i cantucci pistacchi e cioccolato.

Saturnia in forma di cantuccio

Ho deciso di farli a 3 giorni dalla partenza per le ferie.
Praticamente un suicidio.
Perché è come poco prima delle Vacanze di Natale quando si andava a scuola, che il 10 dicembre già non facevi più una mazza che tanto era finito l'anno.
Ero in effetti non solo molto, molto stanca, anche proiettata al riposo e allo svacco.
Poi lasciamo stare che il giorno prima di partire si è rotta la frizione della macchina e ci hanno staccato la luce a casa, facendoci fare uno sprint finale degno di un centometrista.
In ogni caso temevo la débâcle definitiva. Quella del: da settembre magno e nun cucino.

Per fortuna in casa con me c'era la mia amica Kikka che mi spronava, che mi rassicurava, mi diceva di stare tranquilla che sarebbero venuti bene.
Forse, altrimenti, avrei buttato tutto senza un vero perché.
Compresa l'idea del blog.

Non ne ero convinta per nulla. Ho messo sulla teglia a cuocere un impasto color fanghi di Saturnia e intoccabile, appiccicoso come la cera a caldo.
Ho sfornato un panetto profumato ma molle come le mie cosce, ho tagliato in obliquo e messo a tostare dei legnetti di bosco inumiditi dalla pioggia ma poi, miracolosamente, ho sfornato dei veri cantucci.
Diciamo più che cantucci erano lastre di parquet e la dimensione non collimava con la definizione ma per lo meno, buonissimi.
Cantucci in fase di tostatura

Peccato che, essendo il 3 di agosto ed avendo un anno di stress alle spalle, io sia stata completamente presa dal cercare di portare a casa il risultato, scordando di documentare molti dei passaggi.
Per fortuna, presa da rari momenti di lucidità, spariti dopo nemmeno 2 minuti, ovvero dopo le  foto, mi sono ricordata di immortalare l'impasto, la prima cottura e i cantucci fatti e finiti.



A Roma fa ancora molto caldo, caldo umido per la precisione, tipo foresta amazzonica solo che le uniche piante presenti, sono al catasto, quindi non lo so se sarò in grado di riprendere in mano il cioccolato seduta stante. Anzi, direi di no.

Se vedemo appena me accorgo de esse tornata.



Ah. Questi sono i cantucci



 ελληνια νελ ψθορε



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