mercoledì 7 gennaio 2015

Non sarà un'avventura...


La prima volta che ho provato a fare un dolce, è stato nel 1994. A 21 anni.
Non piccolissima ma d'altronde negli anni 90 non era come adesso.
Ora i bimbi sono degli alieni: manco sanno di' mamma e invece de pasticcia' na torta margherita col preparato che comprano al supermercato, fanno i fenomeni in cucina magari distinguendo categorie di ingredienti che conosce solo er produttore e preparando dolci spaziali.
Allora, invece, conoscevamo 2 farine, una per la pasta e una per pane e dolci e le distinguevamo solo dal numero di zeri presenti sulla confezione; le ricette delle torte le leggevamo dietro le bustine di lievito Bertolini e i forni si accendevano con gli stecchini lunghi.
Quindi io a 21 anni, nel 1994, ho avuto voglia di fare il mio primo dolce, vai a sapere il perché.
Forse per dedicarlo al mio fidanzato pro tempore? Boh.
Forse per il suo compleanno? Ari boh.
Tra l'altro sospetto che se poi è finita probabilmente dipende anche da questa mia ardita idea di fare una sorpresa culinaria.
Scelsi una ricetta, giustappunto frugando tra le numerose bustine di lievito presenti in casa e provai a farla.
Seguii pedissequamente ogni passo, uno dietro l'altro senza mai distrarmi.
Alla fine sembrava che avessi fatto tutto in maniera perfetta.
Misi in forno il composto ma il risultato, come anticipato, fu terribile.
Perché quel "forse ciambellone" che avrei dovuto aprire per metterci la marmellata o ricoprire di panna, non ricordo, è uscito dal forno  che sembrava il fondo di cartone dei dolci di pasticceria, quello che serve per non far piombare la torta a terra e giuro, sapeva di prosciutto affumicato.
Come chiaro, la torta non lievitò.
Non so e saprò mai il motivo.
Aveva lo zucchero, la farina, le uova, il lievito e tutto il resto ma faceva letteralmente cagare.
Piansi come una disperata.

Avevo la strana idea di non essere nata per fare la donna o meglio, che sarei diventata la "Stonza come un uomo" di cui parla Vecchioni.
Quella torta, infatti, fu la prima di tante altre.
Ho cambiato case e cucine ma le mie torte uscivano sempre dei bellissimi, piattissimi e salatissimi frisbee.
Ce potevi gioca' sulla spiaggia senza teme' che se rompessero! Tantomeno che l'acqua li rovinasse: salate lo erano già!

Diciamo che questo mi aveva comunque dato  una fama da non sottovalutare e alla fine un vantaggio.
Per esempio quando si facevano le cene tra amici o parenti con l' "ognuno porta qualcosa" io facevo la spesa al supermercato di cose già pronte.

Chissà come e chissà perché nel 2007, dopo 12 anni di vinili di farina al sapore di musica affumicata, decisi di fare una torta per il mio compleanno: la torta di mele, la più classica del mondo.
Ricetta della mamma di una mia dolce amica, Leesa, che adoravo (la ricetta, la mia amica la adoro ancora).
Volevo mangiare quella torta per il mio compleanno.
La feci per me, per il mio piacere, pensando solo a meritarmela.
Uscì una meravigliosa e buonissima torta di mele che soprattutto, lievitò indisturbata.
La sorpresa di tutti fu tale che credettero l'avessi fatta fare da qualcuno.
Dalla mamma di Leesa, in questo caso.
Da allora le torte, più o meno, escono fuori che somigliano molto agli originali descritti nelle ricette, per lo meno all'apparenza.

L'inversione di tendenza, data da fattori che allora reputavo misteriosi più o meno quanto il motivo per cui i Modà fanno successo e Manuela Arcuri recita,  non è stata però sufficiente a cambiare il passato quanto basta per cambiare il futuro.
In che senso?
Spiego in due o tre righe moltiplicate per mille.
Il 2015 è un anno di ricorrenze a cifra tonda.
Tra queste, i 20 anni dalla morte di mio papà.
Un papà con il quale, in vita e dopo morto, non ho fatto mai vera pace.
Vuoi per i sensi di colpa, vuoi perché pensavo di non avere niente in comune con lui, vuoi perché la vita ti spinge in direzioni che spesso, nell'adolescenza, non sai ancora di prendere e può capitare, quando lo capisci, che sia troppo tardi per aggiustare il sentiero.
E' principalmente a lui che ho pensato quando ho deciso di imbarcarmi in questa piccolissima impresa.
Era mio papà a preparare da mangiare, dolce o salato che fosse, per le tre donne con cui divideva la casa e con chiunque avesse piacere di mangiare con noi.
A lui piaceva questo, la comunione del cibo intesa come la gioia di stare insieme e cucinava anche tre cose diverse, se queste potevano servire a farci stare tutti seduti a tavola con lui e tutti contenti.
L'ho capito quando ormai non c'era più, l'ho sentito raccontare perché non me ne sono accorta in tempo e forse, solo oggi, posso condividere anche io lo stesso modo di vedere il cibo.
Per anni è stato un avversario da battere, una caloria in meno mangiata era una caloria conquistata, un triste piatto di fiocchi di latte con l'insalata scondita era la giusta "punizione" per un corpo che doveva essere solo mortificato e per un papà che si ostinava ad unire ciò che io vedevo irrimediabilmente diviso.

Mi comportavo  con il cibo  in maniera ostile, quasi rivendicando la dannosità del mangiare, se ciò doveva portare senso di colpa e inadeguatezza. I dolci sopra tutto.
I dolci non sono stati e ancora oggi non lo sono del tutto, per me, un piacere fine a se stesso, un premio che allarga il sorriso e di cui godere in piccole ed equilibrate dosi ma un piacere perverso e controproducente, dato dall'immediata soddisfazione umorale che si trae nell'ingurgitarlo placando così il senso di tristezza o di vuoto, seguito dall'umiliazione per averlo ingerito senza che venga colmato il reale bisogno, quello di amarmi.
Sono convinta che fosse questo il motivo principale per cui non riuscivo a preparare torte.
Perché le facevo sentendomi in colpa, pensando alle calorie, alla dieta perenne, alla cellulite ecc ecc.
Mai pensavo a quello che pensava mio padre: lo faccio per la gioia di chi lo mangerà.
Quando ho cominciato a pensarla così, i dolci, come qualunque cosa cucinassi, hanno iniziato a venire bene.
Ecco. In tutto questo però non ci sono più stata io.
La torta di mele era per me. Poi più niente lo è stato.
Come se dovessi espiare, guardando il cibo con gli occhi di mio padre ma senza il suo amore.

Questa cavolo di avventura col prologo più lungo della storia, quindi, nasce per questo.
Nasce perché vorrò cucinare dolci per me e chi mi sta accanto, per il piacere di mangiarne un po' a colazione senza ingurgitarlo, per non colmare nessun vuoto, dunque, solo per gustare un qualcosa di buono soddisfacendo occhi, palato e banalmente me stessa, pensando di far pace con papà, dopo 20 anni.

Per farlo ho pensato che avrei dovuto mettere alla prova la mia pazienza, la costanza e più di tutte, la mia forza di volontà convertendo definitivamente la mia idea dei dolci, della dieta e del mio corpo.
Solo in questo modo avrei potuto cambiare il passato per il futuro.
Ho deciso di farlo nel modo più normale per me: scrivendo.
Perché soltanto scrivendo riesco a far diventare reali i miei pensieri, riesco a dargli un senso.

Come?
Avete presente Ernst Knam, il re del cioccolato, il geniale pasticciere che fa anche da giudice a Bake off Italia, su Real Time? E avete presente la storia di Julie Powell e Julia Child, descritta nel libro e nel film "Julie & Julia"?
Qualunque delle due cose  non sappiate, potete leggerle qui  www.eknam.com/ e qui it.wikipedia.org/wiki/Julie_Powell.
Insomma ho deciso di fare come Julie Powell e rifare tutte le ricette di uno dei tanti libri di Knam  nel corso di questo 2015 e raccontarle su questo blog, che ultimamente non diceva nulla di me.
Più o meno una ricetta a settimana partendo dal 2 gennaio, in ordine sparso.
Il libro è quello di cui ho inserito la copertina qui sotto, fotografata in modo che con le mani non facessi ombra e quindi tutta storta: "Che paradiso è senza cioccolato?".

A cosa servirà, chi leggerà i miei resoconti, che cosa otterrò e perché, lo saprò a gennaio del 2016.
Ora voglio solo farlo.
Perché è il 7 gennaio e scrivo questo post dal 31 dicembre. Cancello, scrivo e riscrivo.
E le avventure non si fanno raccontandole agli amici seduti al porto davanti la propria nave in partenza.
Si fanno partendo insieme ad una scialuppa piena delle banalità di queste ultime righe.
Sono essenziali.
Così poi si alleggerisce il carico strada facendo.

Allora vado eh?
Il prossimo post lo faccio in pdf, così non lo modifico più.


p.s. voglio partire dicendo grazie a qualcuno. A Corrado, prima di tutto, perché sa che passerà sabati o domeniche bestemmiando davanti alle partite della Roma mentre io bestemmio in cucina chiedendogli aiuto e chiedendogli di mangiare dolci.
C'è di peggio, lo so, soprattutto perché lui pesa meno di me e potrei dire che è un modo perverso per farlo ingrassare ma no...a fine 2015 lo ringrazierò per il 6 anni insieme di cui uno diabetico.
Poi ho un grazie particolare: a chi da settembre mi sta facendo cambiare idea di dieta e che ha buttato nel vaso la goccia che lo ha fatto traboccare: il mio nutrizionista Antonio Pacella.
A fine 2015 lo ringrazierò ancora perché pur facendo un dolce a settimana sarò finalmente magra come voglio. Sarà grazie a me ma anche grazie a lui.

Mentre nel caso di Corrado sono spiacente ma gradirei non condividerlo con nessun altro, per il dottore invece dico che se volete dimagrire con cognizione di causa, andatevi a leggere cosa fa, qui: https://www.facebook.com/pages/Centri-medici-Come-Mangi/304488986293089?ref=ts&fref=ts

Adesso parto sul serio. In pdf.

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