venerdì 12 giugno 2015

Mangia un po' di più che sei tutt'ossa

Quando a giugno io e mia sorella partivamo per Fregene, nelle estati della nostra infanzia e adolescenza, in quello che ci è sembrato per anni un lunghissimo viaggio, per andare a stare tre mesi con i nonni paterni nella loro casa, lasciavamo a Roma le abitudini domestiche per prenderne di completamente nuove.
Le principali sicuramente, riguardavano gli orari di rientro dal mare o dalla passeggiata pomeridiana e il cibo.
Malgrado mio papà somigliasse ai suoi genitori e nel comportamento fosse simile a loro, mia mamma era ed è completamente all'opposto. Mio papà ci teneva che tutti fossimo a tavola, mia mamma non ci stava mai più di 5 minuti, papà voleva che rientrassimo entro una certa ora, mia mamma non ci faceva caso, mio papà si prodigava a cucinare pasti elaborati per tutti, a mia madre bastava un'insalata.
Così io e mia sorella vivevamo e apprendevamo, nel corso dell'anno, uno strano mix di abitudini,  derivate dal connubio genitoriale,  dall'assolutismo dei nonni e aggravate dall'esperienza della mensa scolastica.
A Fregene però, vivevamo solo e completamente, delle abitudini dei proprietari di casa.
Nonna e nonno si alzavano presto la mattina, verso le 7 e 30. Cor fresco, direbbero a Roma.
Se sonnecchiavi, potevi capire che erano le 8.00 dalla sigla del giornale radio che nonna sentiva in cucina mentre faceva colazione. Dopodiché si poteva avvertire la voce della radio portatile, più vicina o più lontana a seconda di dove nonna la poggiava per sbrigare le faccende. Nonno invece era silenziosissimo, una pantera rosa. La mattina usciva per fare la spesa e poi spariva in giardino o in balcone.
Lo potevi incrociare quando tornava con le buste della spesa, verso le 10 e 30. Noi lo aspettavamo sempre con la gioia di chi sa che ci sarà una sorpresa, qualcosa di buono per la nostra colazione, che ci saremmo sbranati di lì a poco. Il pane pizza di un famoso forno, per esempio, una specie di ciabatta grossa quanto 'n cristiano, che sembrava appena sfornata per noi e  che mangiavamo tipo pitoni, con pane burro e zucchero oppure col pomodoro strofinato e l'olio.
Di solito finiva in 5 minuti.
Nonno infatti ne comprava sempre almeno due.
Questo succedeva entro le 11.00 del mattino. Alle 11.30 eravamo in spiaggia oppure in giardino a giocare ma alle 13.00 c'era l'obbligo di rientro per il pranzo.
Si poteva sforare massimo di 10 minuti che comunque pagavi carissimi.
Nonna ci teneva che mangiassimo primo, secondo, contorno e frutta, tutti i giorni.
Soltanto ad adolescenza raggiunta, quando ho avuto un minimo di autonomia in più e un'attenzione al corpo esagerata, ho potuto dire a nonna che preferivo non mangiare almeno il primo.
Sentendomene dire di ogni, peraltro.
Palline di cookies pronte da cuocere
A cena si mangiava spesso verdura con un secondo di carne, escludendo i venti anni in cui sono stata vegetariana nei quali mangiavo latticini come se avessimo 'na fattoria a casa e i mille chili di pane restati dalla colazione.
Ovviamente il pomeriggio c'era il gelatino al bar! Non c'è da meravigliarsi se, quando tutti d'estate dimagrivano, io prendevo almeno 4 o 5 chili, come niente.
Nonna ci rimaneva male, si sa, je restava la preoccupazione che c'alzassimo da tavola co' la fame. Tutti quelli che hanno nonni vissuti in tempo di guerra sanno che non si poteva prescindere dal "mangia bella de nonna che devi cresce'", "nun magni niente ma che stai male?" e dal cibo nei piatti senza soluzione di continuità mentre si implorava "nonna basta così" .
Eppure di quei cibi ho ogni sapore ancora in bocca. Un sapore buono, non stanco di troppe mangiate, quello probabilmente, della vacanza e della spensieratezza, del mare e dell'ozio, della calma e dell'amore con il quale veniva preparato e forse, dei tanto rimpianti sapori persi.

Nonna aveva i suoi cavalli di battaglia e per me, quei cibi, erano la cosa più buona del mondo.
Sapeva fare dei pomodori al riso che mai più ho mangiato nella mia vita.
La verità sulla forma dei biscotti
Ogni estate ne faceva una teglia di cui mezza solo per me e giuro, ero capace di mangiarne quattro senza battere ciglio. Certo, camminando poi per casa come una balena spiaggiata ma con una gioia infinita nello stomaco e nel cuore.
Non è che non potevo fare il bagno, non potevo proprio anda' ar mare! Usci' alle 3 co' quer peso voleva di' casca' piombi ar primo incrocio. No. Riposino con le cicale e i cuculi, col merlo del vicino che se fischiavi "la cucaracha" ti rispondeva cinguettando a tema.
 "Nonna oggi prepara i pomodori al riso eh? Mario, va a compra' i pomodori pe' le nipoti. Comprameli boni eh?".   Nonno doveva comprare una qualità di pomodori specifica, a coste e ne doveva prendere una cassa, perché lei doveva scegliere solo quelli con la maturazione giusta. Quando nonno le porgeva la cassa di pomodori, lei li osservava uno per uno e metteva da una parte quelli buoni e da un'altra quelli che non andavano bene; poi svuotava i prescelti e teneva il riso a bagno nel succo dei pomodori tutta la mattina con il basilico fresco. A mezzogiorno i pomodori erano pronti da farcire e dopo poco erano in forno con le patate tagliate a spicchi che nuotavano nell'olio. Mangiare quel  pranzo significava il trionfo della felicità.
I pomodori al riso di nonna, sono per me, le madeleine di Proust.
Malgrado io e mia sorella nel tempo abbiamo cercato di riprodurli in tutti i modi mai, mai più hanno avuto lo stesso sapore. Eppure ancora oggi, quando mangio qualunque pomodoro al riso, gli odori mischiati sanno ancora di vacanza e di mare. Soprattutto a giugno, quando l'aria somiglia a quella della libertà.
Lo so che tutto questo non c'entra niente  con le ricette del week end ma ogni tanto mi viene il pensiero che senza il "lavorare con lentezza" della calma e dell'amore che mia nonna metteva in quei pomodori,non sarebbero potuti venire così buoni.
Forse nonna, seduta di tre quarti sulla sedia di paglia e legno, con addosso la vestaglia fiorata e le ciabatte, i becchi d'oca in testa, un cucchiaio in una mano e un pomodoro nell'altra, davanti ad una finestra aperta che portava aria di mare e faceva salire odore di erba tagliata,  non aveva fretta, non aveva paura di sbagliare e voleva solo vederci mangiare con gusto.
Se fossi capace a fare la zia nello stesso modo, per me stessa e per i miei nipoti, i cookies al cioccolato verrebbero magari rotondi e non oblunghi ma soprattutto, non penserei che ogni risultato sia un fallimento.

Invece sono stata costretta a fare una foto paracula per farli sembrare tutti molto belli, perché mi faceva vergogna mostrare l'errore.
Ho smontato la maledetta sac a poche per fare le palline da mettere in forno e sicuramente ho sbagliato la cottura, rendendoli troppo croccanti.
Nonna, per curiosità, quanti pomodori al riso hai buttato, prima di raggiungere la perfezione?


p.s. Momento nostalgia finito. Come i cookies. Belli o brutti, se li magnamo tutti!

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