venerdì 6 marzo 2015

Mangiati le bolle di sapone

Ho le mie particolari fissazioni sui brani di musica italiana.
A prescindere dal fatto che siano considerati capolavori o cagate o che lo siano davvero io c'ho le fisse aprioristiche: non mi piacciono le canzoni con le liste, quelle con le rime coi verbi all'infinito e al futuro/condizionale, quelle con le frasi finte e quelle troppo banali, quelle che hanno una parola messa solo a far rima e quelle con le licenze poetiche che in realtà sono brutture grammaticali.
Mi piace credere che chi scrive un pezzo, si sia sforzato dando il massimo e non buttando lì a cazzo parole per finire un disco. Mi piace ascoltare qualcosa che non avrei scritto mai perché non mi sarebbe mai venuto in mente e che mi stupisce. Presuntuoso? Sicuro.
Però è anche questa "presunta presunzione" che mi fa considerare perfetti certi pezzi.
Come nel caso di "Giudizi Universali" . Per me è perfetto. E' una canzone perfetta.
E vera. Maledettamente vera. La canzone più vera di sempre, come dico spesso.
Ora, non so se tutti hanno presente la scena di "Febbre da Cavallo" in cui Gigi Proietti torna a casa dalla fidanzata dopo aver perso alle corse e inizia un panegirico infinito sulle uova per evitare di fare sesso con lei che altrimenti avrebbe scoperto che aveva perso di nuovo?

Ecco. Sto a fa' 'n po' la stessa cosa.

Siccome potrei parlare di musica italiana per ore senza mai fermarmi, disquisendo sul significato personale della parola "cantautore" e su tutte le declinazioni del caso, affrontando anche il tema dell'onestà intellettuale di chi fa quel mestiere a prescindere se poi gli riesca bene o meno, ho pensato che partire da una canzone che potrebbe aprire dibattiti infiniti sul suo significato nonché sulla sostanziale differenza tra il "Potrei ma non voglio fidarmi di te" del ritornello e il "Vorrei ma non posso fidarmi di te" spesso elaborato nella mente dell'ascoltatore, avrebbe distratto dal tema principale del mio blog: le torte di Knam.
Perché oh, insomma, stavo male e non ce l'ho fatta a cucinare la torta.
Ero a pezzi, morta e resuscitata a fatica da un'influenza devastante, l'idea di stare attenta alla temperatura del cioccolato mi ammazzava e solo il pensiero di dover girare qualcosa sul fuoco per più di dieci secondi mi stancava.

La cosa peggiore di tutto ciò è che non potevo non fare niente, ho promesso una torta a settimana e la dovevo fare, così ho un po' barato e ho scelto dal libro una ricetta molto più facile delle altre, da colazione o merenda, di quelle "ci metto un quarto d'ora" e non si può dire che non abbia fatto nulla.
Ho scelto di fare il plumcake ai pistacchi.
C'è nel libro eh? Non ho preso la ricetta dalla bustina di lievito! Però ad onor del vero non credo che la si possa annoverare tra i capolavori del Maestro. Ecco ho fatto un po' 'na paraculata.

Va da se che la condizione mentale in cui mi trovavo domenica, quando ho approcciato il discorso plumcake, era molto compromessa dall'antibiotico, dalla gola in fiamme e da una settimana de sudate da tachipirina nonché di debolezza atavica, quindi ha compromesso anche la torta presunta facile.
Cioè se nun ce stai co' la capoccia, niente è facile.
Nel corso dei 5 giorni precedenti, cinque giorni che t'ho perso, come potevo tranquillamente cantare al mio cervello, ho rovesciato tutto quello che si poteva rovesciare e nei luoghi più fastidiosi: bicchiere d'acqua sul comodino, olio nel lavabo, vellutata di zucca sul muro, candeggina sui vestiti, il tutto semplicemente perché ero completamente stordita.
Figuriamoci come potevo seguire in modo pedissequo una ricetta.
Cominciamo dal fatto che, illuminata sulla via di Damasco, avevo scelto questa torta perché per caso, il giorno prima, s'era palesato nella dispensa un pacco di pistacchi che non ricordavo ci fosse e ho pensato inutilmente felice "Ho tutti gli ingredienti, non mi manca nulla!!!! Fico!!!!".
Peccato che io avessi solo quelli con la buccia e salati, di pistacchi.
Diciamo che non è proprio la stessa cosa. Però essendo maledettamente rincoglionita, ho perseverato nell'errore credendo di aver trovato l'uovo di Colombo.
Così, tipo mia nonna quando capava quintalate di fagiolini in moto perpetuo, me so' seduta al tavolo del salone davanti alla tv e ho sgranato 65 gr di pistacchi, cercando di levare anche la pellicina intorno al pistacchio, quella salata. Il colmo della pazienza. Ma l'ho fatto serena (o rassegnata?), come fosse una cosa normale, non maledicendomi perché bastava chiedere per favore a Corrado di attraversare la strada e comprarmi dei pistacchi sbucciati e non salati! Nooo! Perché io dovevo svuotare la dispensa!
Classico pensiero da matta. Parte tutto da un'idea folle infilatasi nella testa e lì si propaga a macchia d'olio peggiorando di volta in volta la situazione. Ma tant'è...
C'ho messo una Quaresima, roba che potevo vedere tutto "Via col Vento" e a fine film ancora stavo col bilancino a pesare pistacchio dopo pistacchio. Finita la serena tortura, ho portato il risultato in cucina e ho continuato a preparare il plumcake seguendo le istruzioni a metà. Aho, mica funzionavo bene! Già de mio non brillo pe' pensiero-velocità di esecuzione, figuriamoci dopo l'antrace! Insomma, dovevo montare burro e zucchero con le fruste per far incamerare aria e far diventare il dolce soffice ma non avevo le forze. Cioè proprio nun stavo in piedi e le fruste pesavano come se fossero fatte di sanpietrini! Ho dovuto usare la planetaria ma non è stata la stessa cosa. Il burro non era né montato, né spumoso. Ci ho aggiunto l'uovo e ho riprovato.
Poi dovevo mischiare pistacchi, un po' di farina, lievito e rum in una casseruola e alla fine amalgamare il tutto. 6 grammi di rum? Ce ne so' cascati 20. 7 grammi di lievito? O erano 6 o erano 8, non c'era verso di farli essere giusti. Ho optato per gli 8.
Imburrare e infarinare la teglia? No. Le braccia stavano penzoloni vicino al resto del corpo (un po' a campana, in realtà, perché c'ho il culo più grosso delle spalle) quindi carta da forno nello stampo.
 E' stato il massimo che sono riuscita a produrre.
Giuro, non è che non mi sia impegnata, ho fatto un po' la stoica anzi perché mi trascinavo per casa come uno swiffer fino a cinque ore prima ma porco cane, non ce la potevo fare ad essere Rambo che si ricuce la ferita! Mi mancava la lucidità pure di dire "non fa male, non fa male". Ok, è Rocky ma calzava. Tra l'altro mi sono sentita talmente tanto in colpa di questa mia furberia, che ho scritto messaggi a chiunque per promettere torte complicate da fare nel prossimo mese e mi sono impegnata a morte fino a Pasqua!
Alla fine il plumcake s'è pure gonfiato. Cioè è lievitato, era buono e sofficissimo e devo dire, quella punta di salato dei pistacchi non ci stava manco male.
Tra l'altro, nel pomeriggio di domenica, è passata mia sorella con marito e nanetti al seguito che necessitavano merenda ed erano anche abbastanza affamati, quindi è andato via come il pane.
Tutto è bene quel che finisce bene, abbiamo salvato capra e cavoli, gli errori in cucina portano spesso nuove scoperte, l'importante è partecipare, andrà meglio la prossima volta e non ci sono più le mezze stagioni.


Plumcake appena sfornato 
La fetta

p.s. ieri sono andata dal medico della palestra per fare il certificato di sana e robusta costituzione. Il dottore mi ha fatto i complimenti chiedendomi che tipo di attività agonistica svolgessi perché avevo veramente un bel cuore. Fino a "cu" filava tutto. Ma alla fine meglio avere un bel cuore che un bel culo.

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