giovedì 19 febbraio 2015

E' la dura legge del gol


Con la passione per il calcio, come ho già raccontato nel post del 23 aprile 2012, ci sono nata. Escludendo le pezze che tiravo nella pancia di mia mamma nei primi nove mesi di vita, che direi mi accomunano a tutto l'universo, posso dire di aver provato a farmi spazio tra i piccoli maschi, nei campetti arrangiati di scuole e cortili di chiese, appena le gambotte corte e grasse me lo hanno permesso.
Sentivo una pulsione irrefrenabile verso questo sport ed ero convinta di possedere quel qualcosa di speciale che si nota nel campione, il guizzo del gesto che risolve la partita e la visione di gioco a 360° che ovviamente, notavo solo io nei miei sogni. Un po' come quando pensi di essere Superman  e voli correndo per casa con il pugno sinistro alzato (il mio superman era comunista, sì, mbè?), indossando una t-shirt rossa legata al collo per le maniche.
L'unilateralità del mio pensiero è dimostrabile soprattutto dal fatto che, alla fine, anche un po' per colpa di Mimì Ayuhara, sono stata incoraggiata non ad essere la nuova Carolina Morace, ma a far "carriera" nella pallavolo, sport bellissimo e con cui ho portato comunque a casa le mie soddisfazioni.
Va anche detto che di seguito, nella mia vita, ho voluto fare l'infermiera come Candy Candy, la tennista come Jenny e infine la pallavolista come Mimì.
D'altronde, chi è senza peccato "manga", scagli il primo "invece io no".
L'idea di giocare a calcio, però, non mi ha mai abbandonato e non ha seguito nessun cartone animato, nemmeno Holly e Benji per i quali ero già troppo grande e così, appena si è affacciata la possibilità,  nel senso appena qualcuno mi ha accennato la frase "Ti va di?", ho giocato partite a calcetto con amici e amiche, senza distinzione di sesso, razza e religione.
Il tutto è cominciato in maniera costante nel 2003 ma nel 2008, una di queste amiche, Irene, ha suggerito l'idea di formare una squadra di calcetto solo femminile e di giocare un torneo che proponevano in uno dei tanti campi che frequentavamo. Le ho dato retta con un impegnativo "perché no?" incoraggiata anche dal sì convinto dell'altra amica, Leesa. Inizialmente ci siamo chiamate LISCA, acronimo delle iniziali delle 5 giocatrici presenti. Io ero la S nonché il portiere Sara-Cinesca, visto che la pallavolo a qualcosa era servita.
Appurato che giocare per davvero era divertente, il trio denominato dalle Lisca in poi "io, me e Irene", decise  di farlo in maniera semi seria e reclutando giocatrici, formò la squadra più simpatica, ironica e benvoluta del mondo dei tornei di calcetto femminile:
le "Tettenham". 
Una delle tante formazioni. Da sin: Leesa, Fr@, Irene, Io, Pam, Giulia. Allenatore Sandro Moofly, portiere Corinna
Non eravamo benvolute solo perché, essendo totalmente disorganizzate e mischiate a caso, spesso perdevamo pur avendo ragazze molto brave con noi ma perché avevamo una fondamentale differenza rispetto alle altre squadre con cui gareggiavamo: stavamo in campo sempre  e comunque con la voglia di divertirci.
Abbiamo usato nomi di meravigliosa fantasia per le nostre magliette (nonché per il nome della squadra, ma questo se capiva), abbiamo fatto il riscaldamento pre partita cantando e ballando "Super Trouper" degli Abba oppure "7 spose per 7 fratelli", abbiamo gioito al grido di "andiamo a prenderci la coppa, Beppe", dopo aver segnato l'unico gol su tredici subiti contro una squadra de bestie, abbiamo cominciato ogni partita dicendoci "Dai, dai, dai, a cazzo di cane" come Pannofino su Boris, abbiamo dato un soprannome a quasi tutte le nostre avversarie e, parliamone, avevamo le paillettes cucite sulle strisce bianche dei pantaloncini.
Non era un modo per irridere chi li fa seriamente, i tornei, né tantomeno per schernire l'amato sport e la sua sacralità, è proprio che noi eravamo così e siamo così.

Quelle partite erano così tanto noi che difficilmente riesco a ricordare di essere stata più me in un posto e in un momento. Ci impegnavamo quanto le nostre forze e le nostre capacità ci permettevano e ci cagavamo sotto come se ci stessimo giocando casa ma non abbiamo mai smesso di sorridere.
E non abbiamo nemmeno mai mollato, mai, neanche quando giocavamo contro squadre di ex calciatrici di Serie A che menavano come fabbri.
Ci rodeva se perdevamo, sì, certo,  però eravamo consapevoli che le squadre con cui ci scontravamo avevano il merito di allenarsi 2 volte a settimana, o avevano giocatrici con la metà dei nostri anni che sognavano di fare questo di mestiere. Noi ci volevamo divertire. A noi, come si direbbe a Roma "Ce scappava de gioca'". Anche se una partita l'avevamo giocata di merda, c'eravamo incazzate per qualche torto subito o ci eravamo particolarmente demoralizzate per delle stupidaggini fatte in campo, dopo un'ora massimo eravamo a mangiare gli arrosticini  da Laboratorio 3 a Via di Pietralata al coro di "Tettenham, Tettenham, lalala-lala-lalala", dove, sedute e rilassate, disegnavamo schemi inesistenti sulle tovagliette di carta e scrivevamo inni alla squadra, cambiando le parole a canzoni note.
L'ultima partita tutte insieme  l'abbiamo giocata nel 2010.
Crema pasticcera con velo di zucchero 
Non che ancora oggi non ci venga la fantasia ma se abbiamo smesso non è stato perché ci andava ma perché tutto quello appena descritto non era immune da difficoltà: di gestione, di costanza, di fatica.
Però ogni tanto, quando ce lo raccontiamo, ci partono quei 5 minuti di "perché non lo rifacciamo" che muoiono lì ma che fanno sentire tutta la nostalgia di quei due anni sui campi.
Ne sono passati 5 nel frattempo e devo dire, nelle gambe e nella testa, non ho più quella forza che avevo, chissà perché. Forse perché il 4 davanti è 'na mannaia? O perché me fa fatica solo er pensiero de usci' de venerdì sera pe' anna' a gioca' in culo ar mondo cor freddo, contro delle donne 'ncazzate? O perché la metà delle amiche con cui si divideva lo spogliatoio, sono altrove o impossibilitate a giocare? Non lo so. Forse tutte e tre le cose e anche di più: infortuni, gravidanze, lavoro...
Però la finale di Sanremo l'abbiamo vista, sedute sul divano "Io, me & Irene" e i nostri allenatore, motivatore (o demotivatore come lo chiamavamo) e supporter accanto.
Accanto anche alla mia crostata cioccolato e pere, un grande classico, come il sestetto in questione.
E ci siamo arrivati, finalmente, a sta benedetta torta! Finita con gusto alla faccia di Sanremo, peraltro.
Torta pronta prima di essere infornata
Lo so, c'ho messo 'na cifra ma la realtà è che  tutto quello che ho raccontato sopra è il motivo per cui non ho avuto nessun intoppo nel fare questo dolce: non ho rotto la frolla che anzi, è venuta un perfetto cerchio tutto intero, la crema pasticcera era solida al punto giusto e non stucco pe' i buchi dei chiodi, la ganasce cremosa, la cottura ottimale. Ho addirittura lucidato con la gelatina di albicocche senza che metà pere si attaccasse al pennello.
Si potrebbe maliziosamente pensare che alla millesima ganasce, alla quarta crema pasticcera e all'ennesima pasta frolla, se nun me riuscivano me dovevo sceje 'n altro hobby ma no, non è così che voglio smorzare il mio attimo di poesia: la torta è venuta naturalmente bene perché l'ho fatta per loro.

Ed eccola qui, in tutto il suo splendore lucido e virato sull'arancione per colpa della luce in cucina.


Direi che ho chiacchierato abbastanza, no? Allora famola finita qui, co' 'na saccocciata de ricordi svuotata sur piatto daa vita  e du' lacrime ammazzate co' 'n dorce e 'n bicchiere de liquore (volevo fa' 'n attimo Califano, mo passa).

p.s. Ho volutamente evitato la finale di Sanremo perché ho già detto abbastanza in precedenza e poi era scontata che manco i saldi da Benetton, anyway volevo comunicare che per fare la torta ho ascoltato Radio Incontro Italia, una radio di "successi" solo italiani in perfetta linea Sanremese. Quando non c'è stata la planetaria accesa mi ha proposto, tra gli altri, il pezzo "La dura legge del gol": la perfetta colonna sonora, nonché, a questo punto, il perfetto titolo del post.

pps. Ho usato più parolacce qui che in tutti i precedenti post messi insieme. E' normale, il calcio non è uno sport per signorine e mi sono adeguata al tema.

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